Il Tribunale Militare di Napoli dubita che l’obbligo di vaccinazione imposto per ordine dell’Autorità Sanitaria Militare al militare che deve essere impiegato in operazioni fuori dai confini nazionali sia conforme all’articolo 32 della Costituzione. Leggi l’ordinanza cliccando qui L’ordinanza trae le mosse dal casus belli di un militare, destinato in Lituania, che non si presentava in infermeria per sottoporsi alla profilassi vaccinale in vista della missione all’estero e, perciò, veniva denunciato per disobbedienza aggravata all’ordine impartito dal superiore in grado sulla base dell’art. 206bis Codice Ordinamento Militare (COM) che, come noto inserito dal D.Lgs. 26 aprile 2016, n. 91., prevede che “la Sanità militare può dichiarare indispensabile la somministrazione, secondo appositi protocolli, di specifiche profilassi vaccinali al personale militare per poterlo impiegare in particolari e individuate condizioni operative o di servizio, al fine di garantire la salute dei singoli e della collettività…..”. L’ordinanza in commento, sebbene dichiaratamente emessa in materia formalmente e sostanzialmente diversa da quella dell’obbligo vaccinale “anti sars-cov2” imposto alle forze armate dall’art. 4bis del D.L. 1 aprile 2021 n. 44 (come novellato dal D.L. 26 novembre 2021 n. 172), presenta rilevantissimi spunti di riflessione anche nell’acceso dibattito sulla legittimità costituzionale di quest’ultimo in relazione all’art. 1, 2, 4, 13 e 32, Cost.. Invero il Tribunale Militare partenopeo rilevava la netta distinzione tra le due discipline le quali, inevitabilmente, finirebbero per sovrapporsi e coesistere grazie ad un rapporto di specificità reciproca: da una parte l’obbligo vaccinale di cui al D.L. 44/21 varrebbe a tempo determinato per tutti i militari indistintamente in ogni condizione mentre, dall’altra, l’obbligo vaccinale di cui all’art. 206bis COM varrebbe in perpetuo ma solo per singoli militari da impiegare in determinate condizioni operative e di servizio. Ne conseguiva il giudice remittente che alla scadenza del termine semestrale previsto dalla legge eccezionale sulla vaccinazione di massa delle forze dell’ordine, si dovrebbe verificare l’estinzione dell’obbligo generale di cui al D.L. 44/21 ed, in parallelo, la sopravvivenza di quello particolare dell’art. 206bis COM. Il giudice a quo tentava un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma militare ma non trovava alcuna lettura possibile, posto che l’imputato non sarebbe risultato libero di autodeterminarsi nel rifiuto, dal quale ne sarebbero derivate (come in effetti derivavano) conseguenze disciplinari e penali. Questa considerazione è destinata ad assumere una portata generale ed estendersi alla definizione dei concetti di obbligo e di consenso, in quanto dimostra che l’esistenza di un “obbligo” non dipende affatto dalla nomenclatura normativa o dalla natura della sanzione, poiché l’assoggettamento di un individuo ad una prestazione qualsiasi (tanto più sanitaria) per vedersi concesso l’esercizio di diritti ed il godimento di quanto di più dignitoso e caro possa avere – la famiglia, il lavoro e la convivenza sociale –, costituisce un penetrante obbligo in senso stretto. Si tratta di una “chiara valenza obbligatoria” affermava il Tribunale Militare di Napoli, e così come il militare sarebbe obbligato ad osservare il comando a pena di conseguenze disciplinari e penali, allo stesso modo il cittadino italiano, dai dodici anni in su, sarebbe obbligato alla medesima prestazione, la cui ricevuta di adempimento gli consente l’accesso a luoghi od attività facenti parte del patrimonio indisponibile di un essere umano civile e dignitoso (lavoro, retribuzione; proprietà; scuola; sanità; sport, cultura, socialità, circolazione, commercio, culto). Il giudice militare dubitava della possibilità che la riserva assoluta di legge prevista dall’art.32 Cost. potesse essere surrogata o deferita dalla legge ordinaria all’autorità amministrativa e, nel farlo, precisava i termini di legittimità costituzionale dell’obbligo vaccinale generalizzato che solo la legge potrebbe imporre. Tra questi si riscontrava l’aporia della coesistenza tra obbligo e consenso, laddove il consenso al trattamento sanitario “costituisce l’espressione della consapevole adesione al trattamento” nel rispetto degli artt. 2, 13 e 32 Cost. (sentenza n. 438/2008), a fronte di una “inconciliabile antitesi con un obbligo inteso quale comportamento imposto sotto la comminazione di legge”. Nella logica della teoria del diritto, il giudice militare ha colto perfettamente nel segno quando, qualificato come obbligo la sottoposizione al trattamento imposto per autorità, esso dovrebbe escludere la richiesta del consenso all’obbligato, che sarà invece tenuto alla prestazione senza alcuna libertà di scelta o alternativa alla sanzione o alla privazione prevista dalla legge per il rifiuto. L’ossimoro giuridico obbligo-consenso potrebbe superarsi con l’eliminazione dall’equazione del fattore consenso, così da lasciare ogni valutazione esclusivamente alla luce del disposto dell’art. 32 Cost., il cui dato letterale è chiaro: il legislatore “non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Non si tratta di una enunciazione di principio, né di un richiamo ad un qualche generico valore da bilanciare in nome di proporzionalità e ragionevolezza con la salute collettiva, quanto piuttosto costituisce un esplicito divieto che perimetra il confine entro cui può svolgersi il bilanciamento tra il diritto individuale e interesse della collettività previsto dallo stesso art. 32 Cost. Come dimostrato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 238/14 – ma anche dai lavori della Costituente grazie alla testimonianza lasciata dalla replica a Aldo Moro di Umberto Nobile che sosteneva l’opportunità della sterilizzazione per le categorie di soggetti affetti da malattie ereditarie trasmissibili “perché la legge dovrebbe prevenire che siano messi al mondo degli infelici” – il limite del “rispetto della persona” inserito nell’art. 32 Cost. non può essere valicato con un richiamo della salus rei publicae, perché si tratta di un limite assoluto al potere del legislatore, cui viene inibito di introdurre pratiche sanitarie obbligatorie lesive della dignità umana. (Atti A.C. 28 gennaio 1947, p. 204, Moro). Naturale discende la successiva considerazione, se si ha riguardo al lavoro come fonte di dignità dell’uomo, alla retribuzione come mezzo di sopravvivenza dignitosa e alle attività sociali, economiche, civili e naturali come strumento di realizzazione della personalità dell’individuo – singolarmente e nelle formazioni cui appartiene -, che porta al dubbio di conformità costituzionale non solo dell’obbligo vaccinale in sé, ma altresì del modo in cui il suo adempimento viene preteso, con “imposizioni che la legge, per considerazioni di carattere generale, e per una mala intesa tutela degli interessi collettivi possa disporre trattamenti lesivi della dignità umana” (Aldo