In data 22 settembre 2021 è entrato in vigore il D. L. 127/2021, che ha esteso a tutte le attività lavorative, sia nel settore pubblico che in quello privato, l’obbligo di possesso e di esibizione della certificazione verde covid19, c.d. greenpass.
Provvedimento legislativo arrogante, così come lo ha definito il prof. Giorgio Agamben, della cui legittimità costituzionale si dubita fortemente, poiché le norme ivi contenute si pongono in chiaro ed evidente contrasto con alcuni dei principi fondamentali e dei diritti inviolabili sanciti dalla Costituzione.
In particolare le norme del decreto legge in esame confliggono, inevitabilmente, con l’art. 1 della Carta Costituzionale che individua nel lavoro il fondamento della Repubblica, nonché con l’art. 2, che riconosce i diritti inviolabili dell’uomo; violano l’art. 3, principio di uguaglianza, che sancisce la pari dignità sociale e giuridica dei cittadini ed impone allo Stato di rimuovere ogni ostacolo che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza, impedisca il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese; così come comprimono l’art. 4, diritto al lavoro, riconosciuto come diritto inviolabile di tutti i cittadini, gli artt. 35 e 36, secondo i quali la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme, ed il lavoratore ha diritto di ricevere la retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro, sufficiente ad assicurare a sé ed alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa, ed infine anche l’art. 41 che garantisce la libertà dell’iniziativa economica privata.
Principi costituzionali lesi gravemente dal decreto legge che andremo ora a vedere nel dettaglio e che, pur presentato come necessario per il contenimento dell’emergenza epidemiologica, si sostanzia in un vile ricatto per indurre surrettiziamente alla vaccinazione quei soggetti che, per i motivi più svariati (etici, sanitari o ideologici) hanno scelto di non farlo.
In pratica il Governo, per non assumersi la responsabilità di un obbligo, per il quale evidentemente in questo momento non esistono i presupposti (dati gli scarsi dati sulla sicurezza ed efficacia di famarci nuovi, mai sperimentati prima sull’essere umano), ha scelto sceglie la via dell’estorsione del consenso alla vaccinazione, consenso che tuttavia non potrebbe considerarsi valido, essendo evidentemente violata la normativa sul consenso informato.
Il consenso informato è il presupposto per la legittimità dell’attività medica ed è sorretto dai principi costituzionali di cui agli artt. 13 e 32 della Costituzione, e confermato a livello internazionale dalla Convenzione di Oviedo del 1997, ratificata dall’Italia con la Legge n. 145 del 28.3.2001, che ne stabilisce i principi fondamentali: il consenso deve essere personale, cioè espresso dal soggetto salvi i casi di incapacità; libero, ossia non soggetto ad alcun tipo di condizionamento od a pressioni psicologiche; esplicito, dunque manifestato in maniera chiara ed inequivocabile; consapevole, cioè formato solo dopo che il paziente ha ricevuto tutte le informazioni necessarie per maturare una decisione; specifico, rispetto al trattamento a cui il paziente deve sottoporsi; attuale e revocabile in ogni momento.
Il consenso informato è, inoltre, previsto dalla Legge 22.12.2017 n. 219, che lo disciplina all’art. 1.
Può dirsi liberamente formato il consenso, quando esso viene in qualche modo “estorto” dalla minaccia della sospensione della retribuzione?
Si può serenamente affermare che il consenso eventualmente prestato dalla persona indecisa o dubbiosa sia libero, quando la sua mancata prestazione comporta la sospensione dell’attività lavorativa e dalla conseguente retribuzione, privando così di fatto una persona della sua unica fonte di sostentamento, dello stesso diritto ad un’esistenza libera e dignitosa?
Il dubbio sul punto è assolutamente lecito.
La minaccia, che diventa conseguenza per chi sceglierà di rimanere fermo nel suo proposito di non vaccinarsi, è quella della sospensione dall’attività lavorativa e dalla relativa retribuzione, e l’alternativa per poter continuare ad esercitare il diritto al lavoro è quella di effettuare un tampone, molecolare o antigenico, ogni 72 o 48 ore, con costo a carico del lavoratore.
Una alternativa evidentemente vessatoria, con costi insostenibili sia dal punto di vista economico, essendo inconcepibile che chi ha scelto liberamente di vaccinarsi debba pagare a proprie spese il “mezzo” ritenuto idoneo al contrasto dell’emergenza epidemiologica e debba altresì sostenere il costo delle vaccinazioni di chi ha scelto, altrettanto liberamente, di vaccinarsi, e sia e soprattutto dal punto di vista psicofisico, poiché il tampone orofaringeo è un trattamento sanitario invasivo e doloroso, che dovrebbe essere limitato all’uso diagnostico per i casi di insorgenza di sintomatologia riconducibile a covid19, e non utilizzato con la tecnica dello “sfinimento”, per indurre alcuni soggetti alla scelta di un trattamento vaccinale non effettuata in coscienza ed in libertà.
Che il fine dell’utilizzo del cd. Greenpass sia quello di persuadere gli indecisi alla vaccinazione e che, quindi, il tampone venga utilizzato non quale strumento di prevenzione, ma di persuasione, è stato anche dichiarato, in maniera del tutto discutibile, da alcuni esponenti del governo, che figurano tra i firmatari proprio del D.L. 127/2021 (e qui si imporrebbero considerazioni importanti anche sulla liceità penale dell’imposizione di questo trattamento sanitario per esercitare la propria attività lavorativa, che si tralasciano poiché meriterebbero un approfondimento a parte).
Ed in effetti, se così non fosse, al fine di garantire l’effettiva sicurezza sul posto di lavoro, come in qualsiasi altro luogo ove viene richiesta l’esibizione del lasciapassare, l’esibizione di un tampone negativo verrebbe richiesta a tutti, indipendentemente dallo stato di vaccinazione.
Ed infatti, da quello che risulta dagli studi scientifici sul punto, nonché dalle pubbliche informazioni messe a disposizione dei cittadini dall’ISS e dall’AIFA, dalle indicazioni delle schede tecniche dei quattro vaccini attualmente autorizzati per il commercio in via condizionata in Europa ed Italia, e dalle stesse autorizzazioni al commercio, questi farmaci non sono in grado di prevenire l’infezione da Sars Cov-2, e dunque di impedire la circolazione del virus, ma solo eventualmente di impedire o limitare l’evolversi della malattia covid19 in forme severe; dunque il fine dichiarato nello stesso D.L. 127/21, art. 1, di “prevenire la diffusione dell’infezione da SarsCov2” non può essere raggiunto utilizzando la certificazione verde, che consente ai vaccinati di accedere liberamente ovunque pur essendo potenziali diffusori della malattia, e che costringe invece i non vaccinati a certificare la propria negatività al tampone ogni 48 o 72 ore, attraverso una presunzione di infettività dei vaccinati, in attuazione di un vero e proprio disegno discriminatorio e lesivo, come abbiamo detto, di numerosi principi costituzionali.
Passiamo ora ad analizzare il testo normativo, relativamente al pubblico impiego ed agli uffici giudiziari, per capire quali sono gli obblighi, come sono strutturati, e quali i rimedi difensivi.
L’estensione della certificazione verde covid19 al settore pubblico è prevista dall’art. 1 del D.L. 127/2021, che ha inserito al D.L. 22 aprile 2021 n. 52, convertito in Legge n. 87/21, l’art. 9- quinquies, che, al comma 1, stabilisce che dal 15.10.2021 e fino al 31.12. 2021, termine di cessazione (ipotetica?) dello stato di emergenza, tutto il personale del settore pubblico (pubbliche amministrazioni, enti pubblici, autorità amministrative indipendenti e organi di rilievo costituzionale) deve possedere, ed esibire su richiesta, la certificazione verde Covid19 “ai fini dell’accesso ai luoghi di lavoro”; la stessa disposizione si applica anche a chi nelle amministrazioni predette svolge attività lavorativa, di formazione o di volontariato, anche con contratti esterni.
Ai sensi del comma 3 dell’art. 9 quinquies sono esenti dall’obbligo di possesso ed esibizione del greenpass, e dunque anche dal presentare tamponi negativi ogni 48 o 72 ore, i soggetti esentati dalla campagna vaccinale sulla base di idonea certificazione medica rilasciata secondo i criteri stabiliti dal Ministero della Salute.
La locuzione “ai fini dell’accesso ai luoghi di lavoro” fa intendere che in mancanza del greenpass l’accesso al luogo di lavoro sarebbe impedito; per accesso al luogo di lavoro deve intendersi l’accesso fisico, per una interpretazione della norma orientata al fine di contenimento dell’epidemia, e conseguentemente dovrebbero essere esclusi dall’obbligo tutti i lavoratori in smartworking.
La disposizione in esame cristallizza, anche, il momento del controllo della validità del lasciapassare, che è quello dell’ingresso; tale interpretazione parrebbe confermata anche dal comma 6 del medesimo art. 9 quinquies, che dispone che il personale che al momento dell’accesso al luogo di lavoro risulta privo della certificazione è considerato assente ingiustificato fino alla presentazione della certificazione stessa.
Dunque i controlli dovrebbero svolgersi all’ingresso del luogo di lavoro; deputati ad effettuare tali controlli, sono i datori di lavoro (comma 4); ai sensi del comma 5 dell’art. 9 quinquies i datori di lavoro, entro il 15 ottobre 2021, devono definire le modalità operative per l’organizzazione delle verifiche, anche a campione, e prevedendo, ove possibile, che tali controlli siano effettuati al momento dell’accesso al luogo di lavoro.
Dall’interpretazione complessiva della normativa si ritiene che i controlli della validità delle certificazioni vadano effettuati al momento dell’ingresso, e che l’amministrazione debba giustificare con ragioni oggettive l’eventuale impossibilità di effettuare i controlli all’ingresso; le amministrazioni e gli enti pubblici potrebbero dotarsi di strumenti digitali che agevolino i controlli all’ingresso.
Ove non ci siano ragioni oggettive di effettiva impossibilità di controllo all’ingresso dovrà adottarsi il medesimo modus operandi previsto per le scuole e dunque, avvenuto l’accesso con la certificazione valida, non è possibile che il lavoratore venga successivamente allontanato ove il greenpass scada durante l’orario di lavoro, così come avvenuto per alcuni docenti. Questo in virtù del principio, sempre applicabile, del favor lavoratoris.
Proprio per le scuole, il MIUR, interpellato sul punto dall’ANIEF, ha specificato, con apposita FAQ, che l’art. 13, comma 8 del D.P.C.M. del 17 giugno 2021, introdotto dal D.P.C.M. del 10 settembre 2021 ha chiarito che la verifica avviene quotidianamente “prima dell’accesso del personale interessato nella sede ove presta servizio”; allo stesso modo, la nota MI 9 settembre 2021, n. 953, al punto I, prevede che il controllo sul possesso delle certificazioni verdi COVID-19 sia effettuato “quotidianamente e prima dell’accesso del personale nella sede ove presta servizio”. Alla luce delle disposizioni richiamate, si rileva che le operazioni di verifica delle certificazioni verdi COVID-19 devono essere svolte prima dell’accesso del personale nella sede ove presta il servizio, e non devono essere ripetute nel corso dello svolgimento dello stesso. Dunque, nel caso in cui, al momento dell’accesso in sede, la certificazione risulti “valida”, il dipendente potrà accedere regolarmente e svolgere la propria attività fino al termine della giornata lavorativa.
Non vi è motivo alcuno di ritenere che per le altre amministrazioni si possa agire diversamente, dovendosi applicare un principio unico, di parità di trattamento tra i dipendenti pubblici.
A proposito di quanto detto, giungono segnalazioni che alcune amministrazioni, attraverso un funzionario, stanno già chiedendo informalmente ai dipendenti di inviare copia del greenpass in vista della partenza dell’obbligo del 15 ottobre, in modo da potersi organizzare preventivamente e acquisire le certificazioni con validità lunga, ossia quelli rilasciati per la vaccinazione o l’avvenuta guarigione, e limitare così il controllo, una volta che l’obbligo diverrà operativo, ai soli dipendenti che otterranno il greenpass da tampone.
Questo modus operandi è, ovviamente, illegittimo.
Il datore di lavoro, ed in questo caso il funzionario delegato ai controlli, non possono conoscere l’informazione sanitaria in base a cui è stato rilasciato il greenpass, perché si tratta di un dato sensibile; dunque non possono sapere se il greenpass è ottenuto per vaccinazione o tampone negativo, né possono conoscere la data della sua wscaenza, perché ciò implicherebbe la conoscenza indiretta del dato sanitario.
Sul punto il Garante della Privacy ha chiarito che il trattamento di queste informazioni non è lecito, e che il datore di lavoro non può chiedere ai propri dipendenti di fornire informazioni sul proprio stato vaccinale o copia di documenti che comprovino l‘avvenuta vaccinazione anti Covid-19; ciò non è consentito dalle disposizioni dell’emergenza e dalla disciplina in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro; tali informazioni non possono essere acquisite neppure tramite il medico competente; e neppure con il consenso dell’interessato, poiché ai sensi del considerando n. 43 del Regolamento Privacy UE/2016/679, il datore di lavoro non può considerare lecito il trattamento dei dati relativi alla vaccinazione sulla base del consenso dei dipendenti, non potendo il consenso costituire in tal caso una valida condizione di liceità in ragione dello squilibrio del rapporto tra titolare e interessato nel contesto lavorativo.
Il delegato alle verifiche può solo controllare, attraverso le modalità operative stabilite dall’amministrazione (App verifica 19 o altra piattaforma che verrà predisposta) se la certificazionesia valida o meno al momento del controllo, che come detto deve essere effettuato all’ingresso, anche a campione, e non potrà essere ripetuto nel corso della giornata, a mano di non incorrere le violazioni previste in materia di illecito trattamento dei dati personali.
Il comma 5 dell’art. 9 quinquies stabilisce anche che i datori di lavoro e dovranno individuare, con atto formale, i soggetti incaricati dei controlli e della contestazione delle violazioni.
Quindi chi controlla il greenpass dovrà avere un incarico formale, e solo le persone incaricate dovranno procedere ai controlli ed, eventualmente, alla contestazione delle violazioni; ogni eventuale diversa modalità di controllo, da parte di persona non incaricata formalmente, dovrà considerarsi illegittima.
I delegati avranno il controllo anche sui soggetti non propri dipendenti che operano nell’ambito del luogo di lavoro, e cioè quei soggetti richiamati dal comma 3 dell’art. 9 quinquies.
Attualmente la norma non prevede che il soggetto delegato al controllo debba aver svolto un corso sul trattamento dei dati personali, evidentemente proprio perché tale soggetto non può avere accesso ai dati sensibili.
Chi è privo della certificazione all’ingresso, o quando questa risulti non valida, è considerato, attraverso una fictio iuris, assente ingiustificato e non può avere accesso al luogo di lavoro, fino alla presentazione della certificazione; e comunque non oltre il 31 dicembre 2021.
Per chi decida di non presentarsi al lavoro, perché sprovvisto di greenpass, è consigliabile effettuare una comunicazione preventiva al datore di lavoro.
Infatti l’assenza ingiustificata conseguente alla mancanza del lasciapassare non comporta conseguenze disciplinari, ed è comunque stabilito il diritto alla conservazione del posto di lavoro; l’unica conseguenza, sul piano lavorativo, è la decurtazione dello stipendio per i giorni di “assenza ingiustificata”, cui consegue anche la perdita del relativo contributo presidenziale.
Dunque comunicando che la propria assenza è dovuta alla mancanza del greenpass non si va incontro ad alcuna sanzione disciplinare, che invece potrebbe essere applicata ove il datore di lavoro non conosca il motivo dell’assenza; la normativa consente, a ben vedere, una situazione simile a quello dello sciopero; basta comunicare che l’assenza è determinata dalla mancanza di certificazione e si è tutelati sia dalle sanzioni disciplinari sia per quanto riguarda la conservazione del posto di lavoro.
Per poter ritornare a svolgere la propria attività lavorativa è sufficiente presentarsi con il greenpass valido; manca un vero e proprio atto di sospensione, e questo dovrebbe anche far venir meno obbligo di comunicazione relativa alla decurtazione dello stipendio, che dovrebbe essere automatica.
Per il settore pubblico la normativa non ha stabilito un numero massimo di giorni per l’assenza ingiustificata, proprio perché non è stato stabilito un provvedimento conseguente a questa assenza (sospensione).
Bisogna domandarsi, a questo punto, se esistano rimedi giurisdizionali contro la decurtazione della retribuzione da assenza ingiustificata, o per il rimborso dei tamponi; se cioè si possa adire l’autorità giudiziaria, per il recupero delle somme, per l’uno o l’altro titolo, anche in mancanza di una vera e propria sospensione, prevista invece per esempio, per i sanitari o i dipendenti della scuola.
La risposta deve essere positiva, e ritenendo inficiata da illegittimità costituzionale la normativa del D.L. 127/21, nonché contraria ai principi europei di non discriminazione, si può sicuramente adire il giudice del lavoro per contestare la decurtazione dello stipendio conseguente all’assenza ingiustificata per mancanza di greenpass, o per ottenere il rimborso delle spese sostenute per i tamponi (in forza delle norme che prevedono il diritto dei dipendenti al rimborso delle spese sostenute per l’attività lavorativa). Sul piano della tutela giurisdizionale sono parificati i rapporti di pubblico impego e i rapporti di lavoro privato, (articolo 63 del D.lgs. 165/2001 prevede la competenza del giudice ordinario per tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni).
L’accesso ai luoghi di lavoro senza greenpass in corso di validità è punito, ai sensi del comma 7, con le sanzioni previste dal comma 8, e rimangono ferme le conseguenze disciplinari secondo i rispettivi ordinamenti di appartenenza.
Dunque non vengono comminate sanzioni disciplinari, se si è sprovvisti di greenpass e non si accede, per quel giorno o quei giorni, al luogo di lavoro; unica conseguenza decurtazione dello stipendio per quel periodo e dei relativi trattamenti previdenziali; se invece vi si accede, oltre alla sanzione amministrativa pecuniaria prevista dall’art. 4, commi 1,3,5 e 9 del D.L. 19/2020, convertito nella Legge n. 35/2020 (che in questo caso è stabilita in euro da 600 a 1500), sono previste anche le sanzioni disciplinari secondo i rispettivi ordinamenti di appartenenza.
È evidente come sia più conveniente per il lavoratore non presentarsi sul posto di lavoro, previa comunicazione, e non invece presentarsi senza certificazione o con certificazione scaduta.
Le sanzioni amministrative di cui all’art. 4 del D.L. 19/20 si applicano, altresì, per le violazioni da parte dei datori di lavoro delle disposizioni che riguardano la verifica del possesso della certificazione valida (comma 4), e la mancata adozione delle misure organizzative previste dal comma 5.
La sanzione amministrativa è applicata dal prefetto, a cui vanno trasmessi da parte del preposto ai controlli l’atti di accertamento e di contestazione della violazione (comma 9 art. 9 quinquies).
Le norme che abbiamo analizzato si applicano a tutti i dipendenti pubblici, e dunque anche ai dipendenti del settore giustizia: personale di cancelleria, ufficiali giudiziari ed in generale a tutto il personale amministrativo dei Tribunali e degli altri uffici giudiziari.
Il comma 10 dell’art. 9 quinquies stabilisce che al personale di cui al comma 1 del successivo art. 9 sexies ( e dunque ai magistrati) collocati fuori ruolo si applicano le disposizioni di cui al art. 9 sexies, commi 2 e 3 (dunque le medesime stabilite per la magistratura ordinaria in servizio), fermo restando quanto previsto dal comma 8 del l’art. 9 quinquies (le sanzioni che abbiamo prima ricordato).
Le disposizioni che abbiamo esaminato relative all’obbligo di certificazione verde per i dipendenti pubblici si applicano anche ai soggetti titolari di cariche elettive ed istituzionali di vertice.
Riteniamo che le medesime disposizioni si applichino anche alle categorie di dipendenti pubblici (medici,infermieri, personale sanitario ecc.) già interessati dall’obbligo vaccinale, che dunque a partire dal 15 ottobre dovranno essere in possesso ed esibire il lasciapassare.
Dell’altra parte del mondo giudiziario, la magistratura, si occupa l’art. 2 del D.L. 127/21, che ha al D.L. 22 aprile 2021 n. 52, ha inserito l’art. 9 sexies, che regola l’impiego delle certificazioni verdi covid19 da parte dei magistrati negli uffici giudiziari.
Come per le altre categorie di lavoratori, l’obbligo di possesso ed esibizione delle certificazioni verdi covid19 è stabilito dal 15 ottobre al 31 dicembre; in mancanza, i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, i componenti delle commissioni tributarie non possono accedere agli uffici giudiziari ove svolgono la loro attività.
Tale incredibile disposizione normativa andrà ad incidere irreversibilmente sulla già disastrata situazione della giustizia italiana, da anni resa inefficiente da gravi carenze di organico che comportano i noti continui rinvii dei giudizi e l’allungamento inaccettabile dei tempi dei processi.
Situazione già aggravata dall’emergenza covid19, che si protrae da oltre un anno e mezzo e che ha già comportato un rallentamento notevole della macchina della giustizia, rispetto al quale questo decreto legge si porrà come ulteriore intralcio alla ripartenza effettiva, benché venga invece presentato come strumento funzionale alla medesima.
I problemi che si pongono sono molteplici, primo fra tutti quello dell’eventuale sostituzione dei magistrati sprovvisti di greenpass; la carenza di organico già di per sé comporta difficoltà nell’organizzazione ordinaria dei ruoli, nella formazione dei collegi, nella gestione dei giudizi direttissimi e delle convalide di arresto; in tutte quelle funzioni ove è insostituibile il magistrato togato, già i congedi ordinari per malattie, maternità o motivi familiari provocano disagio; a ciò ora si aggiungerà anche la necessità di sostituire i magistrati senza lasciapassare, con l’inevitabile ricaduta negativa che si ripercuoterà negli uffici giudiziari.
Come per gli altri dipendenti pubblici, l’assenza dall’ufficio è considerata assenza ingiustificata e con diritto alla conservazione del posto di lavoro, e per il periodo di assenza non è dovuta la retribuzione e gli altri emolumenti (comma 2 art. 9 sexies).
L’accesso all’ufficio in mancanza di greenpass valido integra illecito disciplinare, ed è sanzionato, per i magistrati ordinari, ai sensi dell’art. 12, comma 1, Decreto Legislativo n. 109/2006, (e quindi una sanzione non inferiore alla censura), e per gli altri soggetti secondo i rispettivi ordinamenti di appartenenza (comma 3 art. 9 sexies)
Le medesime disposizioni si applicano ai magistrati onorari, in quanto compatibili (comma 4 art. 9 sexies).
Per la magistratura ordinaria il responsabile della sicurezza dei luoghi di lavoro è individuato nel Procuratore Generale presso la Corte di Appello, che ovviamente si avvarrà di delegati per l’espletamento pratico delle funzioni connesse.
Per la regolamentazione dei controlli si rimanda al comma 5 dell’art. 9 quinquies, e dunque vale tutto quello che abbiamo già detto sul momento dell’accesso e sui controlli a campione.
Anche le sanzioni amministrative conseguenti alla violazione delle disposizioni sono regolate dall’art. 9 quinquies, comma 8, e sono le medesime che abbiamo già visto.
Ai sensi del comma 8 dell’art. 9 sexies, le disposizioni esaminate non si applicano ai soggetti diversi dai magistrati indicati ai commi 1 e 4, e dunque “agli avvocati e agli altri difensori, i consulenti, i periti e gli altri ausiliari del magistrato estranei alle amministrazioni della giustizia, i testimoni e le parti del processo”; questi soggetti sono esclusi dall’obbligo di possesso ed esibizione della certificazione verde covid19, secondo le motivazioni fornite dal Ministero, al fine di scongiurare che eventuali problematiche relative al possesso della certificazione verde possano pregiudicare il diritto di difesa o rallentare lo svolgimento dei procedimenti.
Dunque gli avvocati, al momento, è escluso l’obbligo di possesso della certificazione verde per l’accesso agli uffici giudiziari; si è tentato però, di sostenere che tale obbligo sussisterebbe per l’accesso allo studio professionale, in forza delle disposizioni di cui all’art. 3 del D.L. 127/2021 che ha esteso l’impiego del lasciapassare a tutto il settore privato in maniera generica.
Si ritiene che in nessun modo si possa argomentare nel senso dell’obbligo per gli avvocati, così come per gli altri liberi professionisti; se non è richiesto il greenpass per l’accesso in Tribunale, sarebbe paradossale doverlo possedere per entrare nel proprio studio, che è un luogo completamente privato; si pensi al caso in cui un professionista abbia adibito a studio legale una porzione della propria abitazione; chi sarebbe il soggetto preposto al controllo e alle contestazioni delle violazioni? Come estendere ai professionisti le norme che prevedono la sospensione della retribuzione?
È evidente che si tratta di norme inapplicabili agli studi professionali.
Oltretutto se i clienti possono accedere agli studi professionali, senza obbligo di greenpass, non esistendo norme in tal senso, sarebbe oltremodo paradossale che debba possederlo invece il titolare dello studio.
Il problema sembrerebbe porsi per i collaboratori di studio, ossia quegli avvocati o praticanti che non svolgono attività professionale in proprio, ma offrendo collaborazione presso altri studi legali; anche in questo si ritiene si debba propendere per una risposta negativa, nel senso che neppure per costoro vi possa essere l’obbligo del lasciapassare, trattandosi comunque di professionisti che non hanno, e non possono avere, un datore di lavoro e la cui collaborazione si svolge sempre come libera prestazione professionale, dietro emissione di fattura ; anche in questo caso non è possibile individuare, infatti, il soggetto preposto al controllo ed all’accertamento delle violazioni.
In conclusione è opportuno puntualizzare una questione di massima rilevanza: il greenpass, sebbene strumento illegittimo ed incostituzionale per gli usi previsti in Italia, in ogni caso potrà essere utilizzato e richiesto solo nei casi tassativi previsti dalle norme di legge; non è possibile nessuna applicazione analogica o estensiva, trattandosi di strumento che comprime alcuni diritti fondamentali; per cui ogni richiesta di esibizione della certificazione verde al di fuori delle ipotesi previste è da considerarsi illegittima, e potrebbe comportare, a carico del funzionario o dell’incaricato di pubblico servizio che discostandosi dai casi normativamente previsti impone l’obbligo per l’esercizio di alcuni diritti o l’accesso ad alcuni servizi, la configurazione del reato di abuso d’ufficio.